Alessandro Nasini 17-04-2023

Con la testa e non con il cuore

Prova Polestar2

Sono un grande appassionato di auto da quando ero piccolo. Crescendo la mia passione si è trasformata, affascinandomi sempre di più come si potesse concepire un mezzo tanto complicato come un'auto con strumenti tutto sommato abbastanza rudimentali come carta, matita, legno e argilla (ok sono stato piccolo parecchio tempo fa...) e realizzare delle opere di tecnologia, spesso opere d'arte tanto incredibili.

La prima auto di famiglia di cui ho memoria è una Fiat 600, non proprio una supercar, ma certamente una auto super per i molti che l'hanno conosciuta e vissuta. Negli anni ho guidato decine di auto, qualcuna mia, molte di amici e non so più quante per lavoro e per passione, tanta passione. Una passione che dalla strada e dalla velocità si è poi spostata in fuoristrada, dove la velocità è l'ultima cosa che viene in mente, se lo si fa in modo sano e intelligente.

Da ormai molti anni, ogni volta che salgo su un'auto mi scatta la tremenda "sindrome del designer": mi si azzera quasi la passione che avevo fino ad un istante prima, ancora fuori dell'auto, e mi scatta la ragione.

Guardo tutto, misuro tutto, simulo tutte le situazioni d'uso, mi pongo decine di domande pensando a uomini e donne alti, bassi, di media statura, magri, in carne e parecchio in carne, con mani grandi e piccole, con mani perfettamente funzionanti e mani con problemi. Per non parlare della vista, delle scarpe indossate e dei tacchi, delle cinture di sicurezza e di come si allacciano, di dove impugnare il volante. Centinaia di domande che la passione per il suono del motore, in qualche caso il rombo, non riesce a coprire.

Ieri ho fatto il test drive di una auto elettrica, una di quelle ad alte prestazioni, alte davvero: 476cv e da 0 a 100 in 4,2 secondi. Una gran macchina certamente. Ovviamente dentro Roma ho potuto provare ed emozionarmi per una frazione di quanto possibile. Ma una cosa mi ha colpito davvero molto, anche se non era la prima elettrica che guidavo: il rombo non c'era.

La quasi assenza di rumori, persino quello aerodinamico era bassissimo, ha amplificato ancora di più la parte "di cervello" a scapito del "cuore". Le domande si sono moltiplicate come non mi aspettavo accadesse.

Non so se il silenzio (in molti sensi) sia o possa diventare un metodo, qualcosa che nel lavoro di designer possa rappresentare un valore reale e magari misurabile. Ma ci ragionerò nei prossimi giorni in modo un po' più strutturato e tornerò sul tema, per parlarne con chi vorrà.


Alessandro Nasini
Alessandro Nasini

CEO/Head of Design